Strumenti ed umidità

Nella vita di ogni cembalaro prima o poi fa sempre capolino la figura di qualche musicista disperato che supplica di esaminare e possibilmente “aggiustare” la tavola armonica del cembalo di qualche altro costruttore. Le spiegazioni addotte dai proprietari per motivare il “disastro” sono molteplici: materiali scadenti, artigiani incompetenti, colle inadeguate, modelli storici travisati e quant’altro.

Con questo articolo voglio fare un po’ di chiarezza; e non posso che cominciare dicendo chiaramente che una tavola armonica con qualche piccola crepa, per fortuna non è “rotta”. Essa può infatti continuare a svolgere la sua funzione per molti anni senza alcun problema, nonostante visivamente sembri irrimediabilmente perduta. Sistemarla, cambiarla o lasciarla com’è, è una scelta che va fatta caso per caso.

Come seconda cosa voglio dire chiaramente che effettivamente le mancanze costruttive hanno a volte una certa responsabilità, ma altrettanto spesso le cause sono da ricercare anche altrove. I miracoli purtroppo non sono di questo mondo, ma i problemi sì; e va detto chiaramente che anche usando i materiali giusti, lavorando coscienziosamente, con colle e modelli appropriati, può capitare che una tavola armonica si crepi, se lo strumento non viene conservato adeguatamente.

Detto per inciso, ad oggi (luglio 2021) nessuno degli strumenti che hanno lasciato il mio laboratorio si sono ancora crepati: finora gli accorgimenti che ho usato sono stati sufficienti. Ma non mi faccio illusioni: è solo una questione di tempo prima che anch’io riceva una Mail da qualche gentile cliente, dove mi scriverà che il suo bellissimo cembalo, che aveva sistemato con tanto amore nell’angolino vicino al termosifone per dilettarcisi al calduccio, ha stranamente sviluppato alcune fessure nella tavola non appena è arrivato l’inverno.
E so anche che quando gli spiegherò che è fondamentalmente colpa sua e che non ho la minima intenzione di tollerare una tale negligenza, rifacendogli la tavola in garanzia, ci sarà una buona possibilità che cominci a maledire me, il mio lavoro e gli esponenti femminili della mia stirpe.

Voglio dunque scrivere quest’articolo in anticipo perché i miei clienti ed i musicisti coscienziosi ne possano fare tesoro, sperando che possa servire a sfatare qualche luogo comune ed evitare a me, a loro stessi e ad altri quante più Email disperate possibili.
Mi piace pensare ai miei clienti come a persone intelligenti e curiose; per questo invece che dare loro le solite regole a prova di idiota, che vanno tanto di moda nel mondo moderno (non inserire il tuo strumento nel microonde; non suonarlo sotto la doccia; non ingerire i saltarelli…), preferisco dare il quadro completo, spiegando come funziona il materiale di cui sono fatti gli strumenti, rendendoli di fatto autonomi e responsabili. La lettura sarà sicuramente più lunga e complessa, ma come recita l’antico proverbio cinese:

“Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”.

 

Il lavoro di costruzione di uno strumento comincia con il taglio di un albero. Al di là delle bucoliche riflessioni sul fatto che un essere vivente silenzioso abbia dato vita ad un oggetto sonoro inanimato (“Viva fui in sylvis/ Sum dira excissa securi / Dum vixi tacui / Mortua dulce cano”), occorre sapere che il legno è un materiale poroso ed igroscopico, che scambia continuamente molecole d’acqua con l’aria che lo circonda; e soprattutto che questo processo non si arresta mai.
Al momento del taglio circa la metà o più del peso del fusto è costituito da acqua ed il materiale continuerà a perderne finché avrà raggiunto una situazione di equilibrio con l’ambiente circostante.
Durante la prima parte del processo, finché il legno conterrà ancora un 30% di umidità non ci saranno variazioni nel volume del tronco. Invece sotto questa soglia comincia il ritiro vero e proprio.
Un legno da fresco ad essiccato perde circa il 10-20% del proprio volume. Quello che è peggio è che lo fa in maniera diversa a seconda della direzione delle fibre: questo origina inevitabilmente delle tremende spaccature nei tronchi interi, che irradiano dal centro; per questo lo si taglia in tavole ancora prima della stagionatura.
Nel senso della lunghezza il legno non modifica apprezzabilmente le proprie dimensioni durante l’essiccazione e per tutti i fini pratici essa si può considerare fissa.
Nel senso radiale, ovvero dal centro verso l’esterno attraverso gli anelli di accrescimento, il legno si ritira circa del 3-6%  seconda della specie legnosa.
Nel senso tangenziale, invece ovvero lungo uno stesso anello, il legno si ritira circa del 6-12%, dunque circa del doppio.
Per questo motivo, salvo rare eccezioni, per le tavole armoniche si usa legno tagliato nel senso radiale che è molto più stabile.

Una volta che il legno sia stato essiccato fino al punto che il suo contenuto di umidità è in equilibrio con l’aria (per gli strumenti questo significa con l’aria in casa, non quella all’esterno!), lo si può cominciare a lavorare. Purtroppo che l’essiccazione sia terminata non significa che il legno abbia raggiunto le sue dimensioni definitive, ma solo una situazione di equilibrio con l’umidità ambientale. Ogni qual volta questa aumenterà, il legno tenderà a gonfiarsi e ogni qual volta questa diminuirà, esso tenderà a ritirarsi. Punto.
Questa è la legge fondamentale ed immutabile a cui deve adeguarsi ogni artigiano del legno ed in base alla quale nei secoli sono state sviluppate le migliore tecniche costruttive di ebanisteria, carpenteria o liuteria, che sono alla base di tutti i manufatti in legno belli, stabili e durevoli che possiamo ammirare.
Chi agisce in base a questo principio avrà buoni risultati; chi non lo fa, sicuramente avrà molte brutte sorprese.

Il guaio è che questo processo di espansione e contrazione è sufficientemente lento perché sia invisibile ad occhio nudo, per cui molti finiscono per accorgersene solo quando qualcosa è andato storto. Le forze che si creano all’interno del materiale, sono difficili da immaginare; ma considerate che i Romani nelle cave di marmo per spaccare le lastre usavano cunei di legno, che poi provvedevano a bagnare: per questo durante la costruzione è fondamentale usare la fibratura corretta per ogni pezzo o il disastro è dietro l’angolo

Siccome è anche difficile farsi un’idea dell’entità del movimento, ho costruito una specie di igrometro davvero molto “analogico” per renderlo visibile a tutti. Questo semplice strumento è costituito da una lunga struttura fissa verticale su cui è inchiodata, a mo’ di linguetta, una striscia di tavola armonica. Questa ha gli anelli di accrescimento disposti perpendicolarmente alla struttura fissa e l’estremità che punta verso il basso è libera di muoversi.
La striscia misura esattamente 1000mm quando l’umidità (relativa) dell’aria è del 50%, che è un il valore normale per la mia zona durane la maggior parte dell’anno. Quando l’umidità a fine inverno scende al 30%, la striscia misura solamente 997mm; durante i temporali estivi, quando l’umidità supera l’80%, essa arriva a misurare anche 1006mm.
Questi svariati millimetri di differenza sono in pratica la croce dei cembalari! Se infatti quella striscia di tavola armonica fosse incollata ad entrambe le estremità, come avviene in uno strumento vero, incollandola quando è lunga 1000mm, una volta scesa a 997 recupererebbe il ritiro spaccandosi, mentre salendo a 1006, l’allungamento lo recupererebbe creando una pancia al centro. La variazione in un ambiente non riscaldato è di quasi un centimetro e probabilmente anche di più in casa.

Di fronte a questo fenomeno fisico, un umile cembalaro non può fare miracoli: può solo scegliere un range di umidità ottimale in base alla sua esperienza e previsione, sperando che chi custodisce lo strumento non lo esponga, invece, a condizioni estreme. Nonostante tutti gli accorgimenti che un buon artigiano può prendere, non esistono soluzioni che funzionino in qualsiasi condizione ed è perciò richiesta la collaborazione attiva del proprietario per mantenere lo strumento al meglio.

 

Compreso come si comporta il legno con l’umidità, resta da chiarire a livello elementare come si comporta l’altro elemento fondamentale dell’equazione: l’aria che lo circonda. Essa in natura, sopra i -40 °C contiene sempre una certa quantità di vapore acqueo; a differenza di quanto si possa pensare, però, non è importante conscerne la quantità effettiva (g/mc), perché la capacità di assorbire umidità varia a seconda dalla temperatura: l’aria fredda può trattenere solo una frazione di quanta ne può trattenere l’aria calda.
Quello che a noi interessa per capirne il comportamento, è quanta umidità l’aria contiene in proporzione a quanto essa ne potrebbe contenere: questo rapporto espresso in percentuale viene chiamato umidità relativa ed è quel che si intende quando si discute di umidità ambientale. Se l’aria contiene poca acqua in proporzione a quanta ne potrebbe contenere potenzialmente, viene definita secca; se invece ne contiene una percentuale alta, viene definita umida.

Da quanto appena detto emerge un altro concetto fondamentale di utilità pratica: quando si riscalda dell’aria fredda, l’umidità relativa scende e l’aria cercherà di reintegrarla sottraendola alle piante di casa, al vostro corpo, ai vostri strumenti e da quant’altro contenga acqua. Quando invece si raffredda dell’aria calda l’umidità relativa sale; quando questa raggiunge il 100% si creerà condensa: è questo il motivo per cui nel frigorifero o nel condizionatore troverete sempre un po’ d’acqua.

Quando si parla di umidità ambientale essa convenzionalmente divisa in bassa (sotto il 40%), normale (40-60%) ed alta (oltre il 60%).
Questa classificazione tiene anche conto delle esigenze umane: un’aria troppo secca è causa di disidratazione, lacrimazione ed irritazione delle vie respiratorie, inoltre favorisce la circolazione di polveri sottili e virus. E’ dunque meglio anche per il vostro benessere evitare di scendere sotto il 30%, situazione piuttosto rara in natura, ma molto frequente col riscaldamento artificiale.
Quando invece l’aria è molto umida, oltre il 70%, proliferano acari, batteri e si può arrivare alla formazione di muffe negli angoli bui e meno ventilati della casa: tutti rischi per la salute. Ne consegue che esistono buone ragioni per tentare di tenere sott’occhio  l’umidità ambientale indipendentemente dagli strumenti musicali.

 

Ora che i principi generali sono stati chiariti, veniamo a derivarne anche qualche indicazione pratica:

Il primo passo è quello di comperarsi (o costruirsi) un igrometro. Ne esistono di tutti i tipi e prezzi: è il classico investimento di pochi Euro che può farne risparmiare migliaia. L’ideale sarebbe monitorare la situazione durante un anno intero già prima dell’acquisto di uno strumento. In questo modo si potranno dare valide indicazioni al costruttore sul luogo che ospiterà lo strumento.

Se non altrimenti specificato i miei strumenti presuppongono un range di umidità che va dal 30 all’80%. Che significa in pratica? Che se lo strumento verrà esposto per un tempo sufficiente ad umidità sotto la soglia minima, la tavola armonica rischia seriamente di sviluppare crepe nelle zone più deboli. Invece lasciandolo per un periodo prolungato sopra la soglia massima, esso svilupperà una pancia anomala e si potrebbero presentare piccole noie meccaniche, come saltarelli che non scorrono più nel registro ed altro; nei casi più gravi la tavola armonica potrebbe addirittura arrivare a toccare le corde. Normalmente una volta che l’umidità sarà ritornata a livelli normali, lo strumento ritornerà un poco alla volta allo stato iniziale; salvo che non si sia crepato: le crepe, ahimè, restano dove sono…

Va anche notato che tutta la struttura si modifica impercettibilmente, quindi al di là di danni veri e propri, ne risentiranno in una certa misura anche l’accordatura e tutte le altre regolazioni dello strumento. Per questo i cembali gradiscono un luogo in cui le condizioni siano il più stabili possibili. Siccome si tratta di regolazioni che richiedono precisione al decimo di millimetro su un materiale come il legno, non ci si deve stupire se ogni tanto insorge qualche noia. Generalmente sono piccolezze che rientrano nella normalità: non occorre fasciarsi la testa, ma tenere la situazione sotto controllo è importante. Inoltre è davvero utile imparare a compiere da sé anche alcune piccoli interventi di regolazione e manutenzione. Anche se il costruttore fosse disponibile ad eseguire per voi questi piccoli interventi ogni qual volta fossero necessari, non sempre è conveniente trasportare lo strumento fino al suo laboratorio.

Parlando di stabilità, va detto che in generale i cembali, almeno a livello teorico, più sono grandi e più sono soggetti ai capricci dell’umidità, perché una tavola larga si muove più di una stretta. I peggiori, poi sono quelli in cui le fibre sono angolate, perché l’inclinazione ha un effetto analogo a quello di aumentare la larghezza.
Nel caso uno abbia in mente una vita “movimentata” per il proprio strumento, dovrebbe riflettere su questo aspetto. Purtroppo i virginali, nella mia esperienza, nonostante le dimensioni favorevoli della tavola, sono spesso poco stabili per via di altre caratteristiche strutturali. I clavicordi, invece, sono poco sensibili alle variazioni delle condizioni ambientali e risultano di gran lunga i più stabili di tutti; questo diminuisce il rischio di problemi ed azzera quasi la manutenzione.

Le fonti di calore in casa non sono disposte in maniera uniforme e possono dunque creare pericolose zone di bassissima umidità: il termosifone, il caminetto ed altre fonti di calore, per quanto pittoresche, vanno evitate a tutti i costi, se non quando si è assolutamente certi che rimarranno sempre spente.

Anche l’irradiazione di luce solare diretta è da limitare; essa infatti riscalda la tavola, seccandola. Spesso non ne deriva alcun problema, ma se l’umidità è già bassa, questo può significare una crepa. Inoltre la luce solare col tempo scurisce il legno (ma è questione di gusto). Il coperchio è sicuramente meno sensibile ed meglio tenerlo chiuso se non si sta suonando.
Ricordate che lo stesso può accadere se lasciate lo strumento per qualche ora in macchina sotto il sole, con conseguenze potenzialmente ancora peggiori. In caso di concerti all’aperto, tenete presente che se non avrete una copertura di qualche tipo, oltre al sole, i vostri nemici potrebbe essere una nuvola passeggera o qualche uccello screanzato.

Quando l’umidità ambientale è temporaneamente molto bassa in tutta la casa, occorre trovare una soluzione per tamponare la situazione almeno vicino allo strumento, in attesa che il meteo cambi. La prima mossa è quella di spegnere il riscaldamento in quella stanza chiudendo poi la porta ed il coperchio. Umidificatori, piante, stenditoi con i panni umidi e quant’altro, possono aiutare a migliorare localmente la situazione.

Le finestre vicino allo strumento sono da tenere sotto controllo; il tempo può cambiare mentre siete fuori casa e d’estate non è raro che un temporale scrosciando su una finestra semi-aperta possa finire per bagnare quanto si trova nelle vicinanze.
Alcuni preferiscono bere mentre studiano e può essere una buona idea per rimanere idratati. Ma che preferiate acqua, birra o Coca-Cola, evitate accuratamente le situazioni in cui il bicchiere possa finire col rovesciarsi sullo strumento. Lo stesso vale se lo tenete chiuso e ci appoggiate solo sopra le vostre cose. Evitate di pulire gli strumenti con panni umidi, anche all’esterno, a meno che non siate sicuri che sono stati trattati con una finitura impermeabile.

La cassa dello strumento racchiude al suo interno un certo volume d’aria che ricambia in maniera molto lenta; quindi ci vorrà un certo periodo prima che lo strumento si adegui ad una nuova situazione climatica. Vanno per questo evitati gli sbalzi rapidi verso condizioni estreme: questi creano evidenti scompensi tra le parti più esposte e quelle che subiscono il cambiamento in maniera graduale.
Nel caso di un concerto è opportuno calcolare come minimo un giorno di assestamento nel nuovo ambiente prima che lo strumento sia stabile, specie se non lo si conosce. Se si è fortunati, su un buono strumento basterà accordare solo all’inizio delle prove e ripassare prima del concerto. Ma se o lo strumento o l’ambiente non dovessero essere ideali, con un giorno di assestamento la situazione migliorerà molto.

Il coperchio è un valido espediente per mitigare e rallentare i cambiamenti
che possono verificarsi durante il trasporto e quando non viene suonato. Ed in generale è una buona protezione dagli sbalzi, dalla luce (col tempo scurisce la tavola), dalla polvere, dagli insetti e da qualsiasi cosa voglia venire a contatto con la vostra tavola armonica. Se non state suonando, è buona abitudine tenerlo chiuso. In caso di emergenza si può usare la sua stessa custodia o un lenzuolo.

Esistono in commercio umidificatori di tutte le forme e prezzi. Valutate, controllando con l’igrometro, se possa valerne la pena acquistarne uno. Il mio consiglio generale è che se abituate in zone temperate, probabilmente non ne avrete bisogno: tenere sott’occhio la situazione ed al limite mettere lo strumento in una stanza non riscaldata è tutto ciò che vi occorre. Se invece sapete che vi troverete di fronte a situazioni climatiche estreme, allora l’investimento potrebbe essere giustificato e risparmiarvi qualche brutta sorpresa.

 

In conclusione volevo dire che, probabilmente, leggendo queste istruzioni che descrivono una lunga serie di situazioni problematiche, si è portati a pensare che mantenere un cembalo sia un’impresa titanica e che il disastro totale sia sempre dietro l’angolo.
Ma la realtà è semmai il contrario, invece: i danni sono un evento eccezionale, che si verifica solo in condizioni particolari. L’umidità in Europa durante l’anno è quasi sempre compresa tra il 30% e l’80% e con un po’ di attenzione si possono disinnescare anche tutti gli altri rischi.
Se in fondo siamo abituati a “coccolare” oggetti fatti in metallo come un’auto o una moto e nessuno di noi si aspetta che ignorando manutenzione e spie di servizio essi possano durare nel tempo, perché dovremmo invece aspettarci che gli strumenti, fatti in legno, non richiedano alcuna cura? In fondo un po’ di attenzione ed un igrometro vicino allo strumento è tutto ciò che basta per garantirsi molti anni di diletto.