Arte degli organi

La passione per la costruzione degli organi è qualcosa che mi porto dietro fin da quando ero bambino: a 10 anni cominciai a costruire le prime rudimentali canne in legno ed anche il mio primo strumento in età adulta, la mia Opera 1, fu un piccolo organo. Lavorare sugli organi in qualsiasi fase, dalla progettazione all’accordatura finale, mi ha sempre dato un’energia ed una soddisfazione particolare. Purtroppo però, per questi strumenti più che per altri è molto difficile coniugare passione artistica ed esigenze professionali.
Finché il costruttore è anche il cliente finale, come nel caso degli hobbisti, non sorge mai alcun problema: siccome architetto, organaro, committente e musicista sono la stessa persona, c’è perfetta identità di vedute; questo è ovviamente un caso limite, che diventa anche un circolo vizioso: non solo non porta alcun profitto, ma sfavorisce anche la maturazione.
All’opposto, costruendo organi professionalmente si incontrano subito molti vincoli provenienti dall’esterno: i problemi non mancano mai e questi spesso obbligano l’organaro a deviare dalle proprie convinzioni artistiche; anche questa situazione può diventare un caso limite, dove il costruttore rischia di diventare un mero operaio salariato.
Particolarmente nel caso degli organi da chiesa, la situazione tende a diventare molto complessa ed ho sempre avuto l’impressione che i miei obbiettivi costruttivi (suono dello strumento, tocco, solidità ed estetica) combacino poco o nulla con i punti che la committenza ritiene più importanti (prezzo, dimensioni, interazione con elementi architettonici, praticità…).
Parlando con organari esperti si ottiene la conferma che le cose stiano spesso proprio così, scoprendo che molti di essi siano stati messi raramente in grado di costruire uno strumento secondo i loro principi costruttivi (qualunque essi siano). Siccome non accetto di capovolgere le mie priorità, lasciando che soldi, ingombri e vetrate dettino le coordinate del mio lavoro, ho scelto di imboccare un’altra direzione professionale.

La questione sarebbe chiusa, se non fosse che nell’esperienza con clienti privati, nella misura in cui loro stessi sono appassionati, ho constatato che esistono concrete possibilità di instaurare un dialogo tra costruttore e musicista.
Per questo, alla soglia dei 40 anni, ho deciso di sondare la possibilità di realizzare, accanto a clavicordi e cembali, anche piccoli organi, che rispettino quelli che sono i miei criteri ed obbiettivi costruttivi. Non ho in verità alcuna necessità di costruirli, perché il lavoro non mi manca: li costruirò, come tutti gli altri miei strumenti, per passione e solo nel caso ci sia sintonia con il committente. Quest’ultimo, oltretutto, dato anche l’impegno economico, non dubito che in futuro si dedicherà anche alla conservazione del suo strumento con una dedizione impensabile in una realtà parrocchiale, evitando che il mio impegno finisca sprecato.

Per capire di che genere strumenti si tratterà, è meglio chiarire quali siano i miei principi per la costruzione di un buon organo. Siccome sono criteri in certa misura personali e qualcuno potrebbe criticarli, comincio subito col dire che non dubito che ne esistano altri: l’organo è uno strumento con oltre 2 millenni di storia alle spalle e non ho difficoltà ad accettare che gli artefici romani piuttosto che i monaci medievali cercassero qualcosa di diverso dai grandi costruttori di fine Ottocento. Neppure contesto che i miei principi costruttivi, idealmente aderenti agli strumenti costruiti dal Rinascimento al Classicismo, possano non essere gli unici del lungo periodo in questione.
Ciò nonostante, sulla base del mio gusto e della mia esperienza, sono giunto a stilare questo elenco:

-Un buon organo deve avere dei mantici (intendo in primo luogo mantici a cuneo di costruzione classica). Essi sono i polmoni dello strumento, che gli permettono di respirare. Certo rendendo il vento completamente stabile, poi lo strumento può sopportare qualsiasi tipo di strapazzo organistico e quasi a nessuno verrà in mente di criticarlo. Purtroppo però il suono dell’organo è per sua natura statico: nel momento in cui lo strumento cessa del tutto di respirare ed il vento diviene immobile, anche il suono, pur se gradevole, perde molta della sua impressione di vitalità.

La meccanica deve idealmente permettere il massimo controllo possibile sulla pronuncia delle canne. E questo è un punto per nulla banale: alcune meccaniche risultano poco controllabili perché troppo sensibili e leggere; altre invece per il motivo esattamente opposto. A dire il vero l’argomento è complesso e non si limita alla parte meccanica: minore è la pressione del vento e la superficie dei ventilabri e più sarà facile dosare e gestire attacco e rilascio. Salvo che pressioni troppo basse e soprattutto troppo ventilabri piccoli, mal sopportano le combinazioni di molti registri, così si rischiano problemi d’aria nel ripieno completo. Non esistono formule perfette, per quanto ne sappia, e si tratta soprattutto di trovare un buon equilibrio tra queste due esigenze: ventilabri e canali che forniscano abbastanza aria per il plenum, ma abbastanza piccoli da essere sensibili al tocco. Per questo motivo, però, negli organi di piccole dimensioni è anche tecnicamente possibile ottenere un tocco più raffinato che su un grande Hauptwerk di 16′.

-Un organo deve avere una cassa elegante, solida e ben proporzionata, che racchiuda e protegga le parti interne, contribuendo anche ad amalgamare e dirigere il suono verso l’esterno. Salvo rare eccezioni, essa avrà una facciata, che rispecchi entro certi limiti anche grandezza e carattere dello strumento.

-Un organo deve avere registri di fondo che offrano adeguato fondamento sia nell’organo pleno, che ad altri musicisti quando si suoni in Ensemble. Questa regola è così generale che vale tanto per la sezione del pedale di organi monumentali, quanto in piccolo, per il Bordone 8′ di un positivo. Gli strumenti con poco fondamento nascono perlopiù da una lettura travisata degli strumenti antichi, interpretati alla luce della prassi tardo-romantica – ed in forte opposizione ad essa (Orgelbewegung). Tutti i buoni organi storici che conosco, nonostante le ovvie evidenti differenze, hanno tutti sufficiente fondamento: per questo ritengo che gli strumenti privi di fondamento siano definitivamente da rigettare.

Un organo deve avere un ripieno. Le misture furono la voce con cui gli organi medievali incantavano i cronisti dell’epoca ed ancor oggi, nella loro limpida eleganza rappresentano una delle sonorità più magnifiche e peculiari dello strumento, che non dovrebbe mai mancare.
Le misture sviluppate dai grandi organari del passato rappresentano anche, in ultima analisi, il loro ideale sonoro; oggi, invece, le misture sono fortemente standardizzate in composizione e ritornelli ed in generale vengono poco curate rispetto agli altri registri. Credo che dovrebbero tornare ad avere l’attenzione che meritano.
La base del ripieno di qualsiasi strumento è sempre 8′, 4′ (3′) e 2′; ma una disposizione completa, anche di un piccolo positivo, per restituire la sensazione di un vero ripieno, deve prevedere almeno un registro più acuto (1.1/3′ o 1′); meglio ancora due, tenendo presente che le ottave danno brillantezza, le quinte mordente. La classica disposizione base degli organi italiani (Principale, Ottava, XV, XIX, XXII) si è tramandata per oltre cinque secoli, perché è perfettamente completa nella sua essenzialità.
Nella disposizione è meglio evitare salti superiori all’ottava tra un registro e quello immediatamente più acuto, altrimenti si percepirà un vuoto. Una regola ancora più fondamentale, è che le file in quinta e terza della mistura non debbono mai ritornellare fuori dagli armonici della fondamentale(VIII, XII, XV, XVII, XIX etc..). Quinte e terze più gravi della loro prima apparizione nella serie armonica sporcano il ripieno e sono da evitare. Di converso è da tener presente che la composizione ed i ritornelli della mistura determineranno la sua base minima.

Ogni registro deve avere una sua personalità ed un suo scopo. Il superfluo, l’anonimo ed il ridondante non hanno ragione d’essere nella disposizione di un buon organo. Questo è un problema molto più frequente sugli organi grandi che su quelli piccoli, perché si presta  più attenzione ad un singolo registro su un organo che ne ha 4, piuttosto che ad un singolo registro su un totale di 100. Ma siccome alla fine qualcuno dovrà pagare per tutti e 100 di loro, è giusto che ognuno abbia il suo carattere ed il suo fascino oppure è meglio tralasciare qualcosa. Per quanto mi riguarda sono convinto che sia più utile un solo registro eccellente che 100 mediocri.
Nonostante questa caratterizzazione, i registri devono però fondersi tra loro, fornendo un buon numero di combinazioni sia per l’accompagnamento che per brani solistici di carattere diverso.

Ogni registro, fino al 2′, deve idealmente potersi suonare ed accompagnare da solo, senza essere costretti ad aggiungere altro per mancanza di corpo o personalità.
I registri di fondo, ovvero 16′, 8′ e 4′, sono quelle che si suonano più spesso da soli e quindi il loro valore musicale è più alto rispetto agli altri. Io spesso dico che un buon Principale 8′ vale la metà della qualità sonora di un organo. Anche se sembra un’affermazione piuttosto rozza, è davvero una buona regola empirica, soprattutto quando il principale è l’unico registro di 8′. Sui positivi e sui manuali dove il Principale è sostituito dal Bordone 8′, vale un principio simile. In generale, non importa quanto siano buoni il Cornetto III, la Tromba o il Querflöte 2′: se i registri di fondo, in particolare i principali, sono mediocri l’organo non porterà molta gioia.

-I più radicali pensano che anche all’interno di un registro ogni canna debba avere, entro un certo limite, la sua identità; questo si ottiene idealmente cercando di far suonare ogni canna al proprio meglio, piuttosto che cercando di omologarle il più possibile. La variazione può essere paragonata alle conchiglie di una collana, che possono avere forme e sfumature leggermente differenti, facendo però tutte chiaramente parte della stessa serie.
Questo è proprio ciò che si riscontra sugli organi storici originali o ben restaurati e, nonostante passi per lo più inosservato all’esecutore (a meno che non si metta ad ascoltare attentamente ogni singola canna), contribuisce non poco al loro fascino.

Tradotti nella pratica e nei limiti delle mie possibilità costruttive, questi principi possono realisticamente materializzarsi nella forma di un organo positivo, la cui grandezza può variare da un minimo di 4, ad un massimo di circa 7-8 registri. L’impostazione potrà essere sia di scuola tedesca, che di scuola italiana e la caratterizzazione potrà essere orientata verso modelli che vanno dal primo Rinascimento al tardo classicismo.

Fermo restando che ogni strumento sarà un esemplare unico e come tale richiederà un progetto dettagliato, ecco alcuni spunti:

La manticeria potrà essere collocata sia sopra o dietro lo strumento, come nei regali e nei positivi più antichi; sia in un’apposita cassa inferiore, su cui si appoggerà quella superiore con la meccanica e le canne. Questa è la soluzione classica dei positivi sei-settecenteschi ed in questo caso sarà anche possibile prevedere l’azionamento dei mantici da parte dell’organista, come in molti positivi olandesi.

La meccanica potrà essere sospesa con catenacciatura, come generalmente negli strumenti italiani, o a pironi, come nei positivi tedeschi.

L’ ambito delle tastiere più sensato per questo genere strumenti è generalmente di 4 ottave (C-c”’), poco più o poco meno a seconda della caratterizzazione. Come per i cembali, l’estensione rappresenterà un fattore nella determinazione del prezzo.
Esiste anche la possibilità di dividere alcuni registri in bassi e soprani, qualora la disposizione lo renda sensato. L’ottava corta, spezzata o l’omissione di qualche nota nel basso permette un sensibile risparmio di costi e spazio ed è una possibilità da tenere sempre in considerazione, compatibilmente con le esigenze musicali.
Gli organi ad accordatura mesotonica rappresentano un particolare piacere per l’orecchio, che meriterebbe di essere valorizzato più spesso di quanto non si faccia; per ampliarne le possibilità nell’uso pratico è possibile aggiungere alcuni subsemitonia.

Le famiglie di registri più importanti per questa tipologia d’organo e che ne formeranno la disposizione sono:

Principale in legno (facciata o interno): da 8′ a 3′
Principale in lega di stagno (facciata): da 4′ o 2′
Ripieni interni in lega di piombo: da 3′ a 1.1/3′ (registri più acuti verranno fatti ritornellare nel soprano)

-Copl, ossia Bordone in legno: da 8′ o 4′
Flauti a camino in legno: da 8′ o 4′
Flauti aperti in legno: da 4′ o 3′
Flauto a cuspide in legno: di 4′
Viola di gamba in legno: di 8′

Se pure esistono molti altri registri, con questi è già possibile creare una gran varietà di disposizioni, che rispondono ad esigenze molto diverse. Col tempo aggiungerò alla lista anche altri registri labiali e qualche piccola ancia.

Come nella migliore tradizione tirolese, farò grande uso di registri in legno. Anche se la costruzione è più laboriosa, sono più stabili e resistenti a trasporto e manipolazioni. In genere essi offrono un buon fondamento, ma meno armonici rispetto alle canne in metallo. In ambito domestico o cameristico, questo è da considerarsi più che altro un vantaggio, sia perché l’esecutore si trova molto vicino alla fonte sonora, sia perché questi registri tenderanno ad amalgamarsi meglio con gli altri strumenti.
I registri in metallo, invece, sono assolutamente necessari per un bel ripieno, specialmente negli ambienti grandi; ed in generale servono per tutte quelle combinazioni di registri in cui si ricerchi un suono argentino. Una sapiente combinazione di registri in legno e metallo nella disposizione può generare degli strumenti molto interessanti e variegati.

Chiunque condivida la mia impostazione generale e sia interessato ad uno strumento che risponda a queste caratteristiche, può contattarmi per sviluppare assieme un progetto dettagliato.